Ricordo di Little Tony di Marcello De Santis, 2015

Io ricordo Little Tony in maniera un po’ diversa da come siamo abituati a vederlo e sentirlo, cioè pieno di vestiti hard con lustrini e frange, alla Elvis.

Era molti anni fa, al Castello Orsini di Palombara Sabina a pochi chilometri da Tivoli, cittadina celebre per la sagra delle cerase, Antonio teneva una lezione sul rock and roll e i modi di presentare questo genere di musica da parte dei cantanti delle varie parti del mondo: e in particolare là dov’era nato il rock, in America, con i pianoforti e i sassofoni, presto sostituiti dalla chitarre elettriche; a noi giunse la canzone più celebre di rock, quella che abbiamo considerato come il primo rock end roll, quel Rock Around the Clock portata al successo da un altro cantante con un ricciolo sfacciato sulla fronte, Bill Haley che cantava con il suo gruppo “I Comets”.Ricordate I primi versi della canzone? Celeberrimi, li imparammo subito anche noi studenti del 56 che l’inglese non lo conoscevamo, o almeno sapevamo solo quello scolastico appreso sui banchi del liceo

One, Two, Three O’clock, Four O’clock rock,
Five, Six, Seven O’clock, Eight O’clock rock.
Nine, Ten, Eleven O’clock,
Twelve O’clock rock,
We’re gonna rock around the clock
tonight.

Poi vennero Little Richard e Elvis Presley, e qui in Italia, dove aveva trovato i terreno fertile Little Tony, l’amico Bobby Solo.
Palombara Sabina, dunque, e Little Tony; ma io non sapevo di che si trattava; ero libero quel sabato mattina, e avevo letto da qualche parte che a Palombara “ci sarebbe stato Little Tony” per alcune classi del ginnasio-liceo della cittadina laziale
Andai a vedere, convinto che avrebbe fatto uno dei suoi spettacoli canori per i ragazzi delle scuole di Palombara. Mi sedetti davanti, c’era una fila di posti liberi, forse all’inizio riservati alle autorità, ma ricordo non c’erano i famosi biglietti “riservato”, o forse no; non so bene, ma insomma, presi posto soddisfatto; ce l’avevo là a due metri che armeggiava con la sua attrezzatura necessaria alla mattina.

Fece tutto, tranne cantare. Manovrando – con l’aiuto di un assistente, forse un componente del suo gruppo o un amico – dei compact disk su un riproduttore di musica, sistemato in un angolo su un tavolinetto senza pretese, tenne una lezione indimenticabile sulla nascita lo sviluppo e l’attualità della musica rock nel mondo.
Fece ascoltare il modo di interpretarla, quella musica che aveva rivoltato il mondo musicale di quegli anni, da diversi cantanti stranieri, spiegandone i motivi, le sfumature che a un orecchio non abituato sarebbero sfuggite, le inflessioni (non linguistiche, ché quelle erano normali) ma del “porgere le parole” adeguandole alla musica e agli arrangiamenti.
Non lo dimenticherò mai. Alla fine mi avvicinai e mi congratulai.

Con la sua gentilezza (inaspettata? forse sì), e anche se dalle sue espressioni sempre pacate nelle interviste e nelle sue interpretazioni mi ero fatto una visione simile di lui, mi onorò della sua stretta di mano e di qualche ulteriore spiegazione ad alcune mie domande, dopo quelle fatte da alcuni studenti (poche invero); parlammo insomma per un po’, si trattenne volentieri, e mentre parlava ed esponeva, mi guardava negli occhi, con quei suoi occhi magnetici, e, lasciatemelo dire, belli davvero. Poi lo salutai mentre insieme al collaboratore riponeva le sue cose.

Ecco, questo per me era Little Tony, un Little Tony sconosciuto alla gente della canzone, inedito per i fans che lo applaudivano ogni sera ai bordi dei palcoscenici nei teatri o nelle piazze, questa era l’anima vera di un grande cantante. Una persona gentile e colta.
Si chiamava Antonio, Antonio Ciacci e ha molto a che fare con la mia città; infatti era nato proprio qui, a Tivoli, nel febbraio del 1941, anche se la famiglia (famiglia di musicisti, il papà suonava la fisarmonica e si dilettava anche a cantare, e uno zio era chitarrista) era di origini Sanmarinesi, e così anche lui mantenne la cittadinanza di quel piccolo paese per sempre.
Aveva cominciato a suonare e cantare coi suoi fratelli allietando il pubblico delle piazze, dei ristoranti dei castelli romani, delle feste paesane, dei piccoli teatri e delle sale da ballo; la gente si accorse di lui e accorreva ovunque si annunciavano le sue partecipazioni.
E se ne accorsero anche quelli che contavano; per caso lo vide – era l’anno 1958 – un impresario straniero, lo portò in Inghilterra, e lì Antonio si dovette adeguare: nacquero Little Tony and his Brothers’.

Canta così inventando una lingua inglese tutta sua, ma poi, visti l’accoglienza e il plauso della gente, comincia a cantare Johnny be Good; e Lucille, che quel cantante pazzo americano Little Richard aveva portato al successo, quel Little Richard che gli aveva dato il nome, Little, come lui, e Tony, ché non poteva a ‘sto punto chiamarsi ancora Antonio. E i fratelli, divennero i brothers, inglesi anche loro. Viene chiamato l’Elvis Presley italiano.
Nel 1961 torna in Italia e approda subito a Sanremo dove porta al successo con Celentano la canzone Ventiquattromila baci.
Ma non è questo il luogo di fare la storia delle sue canzoni, né della sua vita, mi preme solo ricordare il grande successo di Cuore matto, che canta a Sanremo nel 1967.
Il suo successo è enorme; dischi che si vendono a milioni di copie: e i vari festival cui prende contribuiscono ad espandere la sua immensa fama.
Lui aveva due anni meno di me; eravamo quasi coetanei.
Lo ricordo ancora quando negli anni 60 noi studenti del “Liceo classico Amedeo di Savoia” organizzammo il tradizionale ballo carnascialesco; a Carnevale allora si usava, c’era il ballo del liceo, il ballo di ragioneria, il ballo dei commercianti, e così via. Lo facemmo in quella che allora era l’Arena Italia, un grande cinema all’aperto, di proprietà del padre del mio amico Pierluigi – poi chiuso tanti anni dopo, e ancora oggi là, fatiscente e inutilizzato – prima con teloni, che in estate, verso sera, si aprivano per far godere gli ultimi spettacoli all’aperto: film e avanspettacolo, lire 25. Bene, quell’anno, era appena tornato dall’Inghilterra, lo invitammo a esibirsi per noi; e lo presentammo noi studenti. Il mio amico Alberto si improvvisò – e fu veramente bravo – presentatore della serata
Ho fatto di proposito i nomi dei miei amici Alberto e Pierluigi, perché, di lì a una ventina d’anni, dopo molto mio errare per il frusinate e il napoletano per lavoro, sede dopo sede e promozione dopo promozione, quando tornai a Tivoli demmo vita al Gruppo Appuntamento con la Poesia che raggiunse la formazione definitiva con l’innesto della bravissima e dolcissima Grazia e del tecnico del suono Gianni.
Dunque, quando parlammo, gli ricordai quel pomeriggio a Palombarala cosa, e sorrise, come a dire ma come posso ricordare, ne ho fatte tante…
Little Tony ci deliziò col suo rock cantato in inglese, un inglese che s’era inventato lui, insieme ai suoi fratelli Alberto ed Enrico, che facevano parte della sua band, Enrico chitarrista, che scrisse anche qualche canzone per lui, e Alberto, bassista.
Ha raccontato infatti più di una volta in interviste mandate dalle tivu, che quello slang – tradotto: frasi fatte da parole o espressioni che non fanno parte del lessico anglosassone né tantomeno di linguaggio dialettale o storpiamento voluto di una lingua parlata – era frutto della sua fantasia:

Dovevo cantare davanti alle telecamere inglesi e non conoscevo una parola di inglese, e allora un poco ricordando Elvis, un po’ inventando suoni simili, mi buttai, e andò. E il pubblico ci accolse con ovazioni ripetute e sincere.”
Ma poi tornò in Italia e per poco continuò a cantare in quell’inglese senza senso.

A Tivoli tornava spesso, senza molto clamore, quasi alla chetichella; infatti era un collezionista di macchine d’epoca e non; nel suo parco macchine ce ne sono molte: Ferrari (una di queste era introvabile sul mercato: la Ferrari 330 GT 2+2 del 1964, motore V12, 4 litri di cilindrata) e Lamborghini i suoi gioielli; ma anche Alfa Romeo e delle vere opere d’arte, rarità assolute; ne aveva parecchie; meraviglia delle meraviglia una cadillac color rosa, una Fleetwood, simile a quella posseduta dal suo idolo giovanile, Elvis Presley.
Partecipò per diversi anni alla manifestazioni di queste vetture che si tenevano nella mia città.
Ho ricordato più sopra il grande successo di Cuore matto, che presenta alla sua ennesima apparizione al Festival di Sanremo nel 1967.
Antonio aveva veramente un cuore matto come la sua canzone per eccellenza, quella che ha venduto milioni di copie insieme all’altra, Una spada nel cuore.
Gli dette enormi preoccupazioni quella volta che venne colpito da un infarto; si trovava in Canada al Contessa Hall di Ottawa; cantava con la sua solita grinta gentile per i figli e i nipoti degli italiani emigrati colà. Era il 2006. Qui da noi si seppe della cosa solo qualche tempo dopo, lo confessò lui stesso in una intervista, in cui raccontava la rocambolesca storia della sua fortunata avventura nella canzone internazionale.
Ma non era ancora finita, partecipò ancora al Festival di Sanremo di due anni dopo, con una canzone che non avrà fortuna.
Le ultime volte che andò in televisione, in effetti non apparve molto in forma, sì, lo tesso ciuffo di una volta, un costume da scena leggermente più sobrio, e molte rughe sul viso; ma il sorriso era sempre quello, quello di Little Tony anni 60.
Marcello De Santis (15 agosto 2015).

Marcello De Santis (1939-2016) è stato alunno del Liceo Classico Statale “Amedeo di Savoia” di Tivoli. Voce  della poesia in italiano e dialettale tiburtina, direttore dell’esattoria comunale ed ex funzionario di banca, De Santis è stato il fondatore del “Gruppo appuntamento con la poesia”, insieme ad Alberto Tarantino, Grazia Palma Testa, Gianni Pasqua e Pierluigi Garberini.

Appassionato in particolare delle opere di Dino Campana, oltre a partecipare e vincere numerosissimi concorsi di poesia, ha pubblicato e recensito molteplici libri. In molti lo ricordano durante le sue serate recitare in pubblico le proprie opere come uno spettacolo letterario, con musiche ed effetti visivi, che sono rimasti ad oggi, impressi nella mente.

Il Dott. Marcello De Santis,  ha fatto per trent’anni poesia a Tivoli e soprattutto ha diffuso con le sue opere la cultura della poesia.

Little Tony (Tivoli, 1941-Roma, 2013), è lo pseudonimo di Antonio Ciacci, attore e cantante di nazionalità della Repubblica di S. Marino, cittadino onorario di Tivoli, dove è sepolto nel locale cimitero.

Il cantante sammarinese era stato nominato cittadino onorario della città di Tivoli, dal 14 luglio 2007, la giunta comunale di Tivoli così si espresse al riguardo:

«Premesso che il signor Antonio Ciacci, nato a Tivoli il 9 febbraio 1941, conosciuto con il nome d’arte di Little Tony è uno dei cantanti italiani più apprezzati ed amati, non solo nel nostro paese, ma anche nel mondo. L’artista ha iniziato la sua attività di cantante proprio nella città di Tivoli e nel territorio vicino esibendosi nei locali e facendosi apprezzare dal pubblico tiburtino prima ancora di raggiungere il successo. Nel corso della sua carriera artistica ha inciso più di 30 dischi come cantante, ha girato più di 20 film come attore ed eseguito oltre diecimila concerti in tutto il mondo raggiungendo le vette nelle hit parade con successi entrati nella storia della musica italiana, fra i quali: Riderà che ha venduto più di un milione di copie, Cuore Matto e 24 Mila Baci cantata insieme ad Adriano Celentano. Considerato che come uomo e come artista, Antonio Ciacci, in arte Little Tony, ha sempre sottolineato con orgoglio la sua appartenenza alla comunità tiburtina, dimostrando affetto e riconoscenza alla città in cui è nato e cresciuto e un vivo attaccamento alle proprie radici e attraverso una lunga e apprezzata attività artistica ha contribuito a far conoscere in Italia e nel mondo Tivoli, sua città natale, delibera di concedere la cittadinanza onoraria di Tivoli ad Antonio Ciacci nella cerimonia che si terrà a Tivoli, in Piazza Garibaldi, il giorno 14 luglio 2007.»

 

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